You Make a Living from What You Get - But You Make a Life from What You Give

lunedì 30 aprile 2012

TUTTE LE SPIGOLE DI UNA PIZZA...



di ALBERT

Al Galatoire’s di New Orleans (1905)  il  motto è: first come, first served, che sarà banale ma è sempre meglio del nostro tristissimo "chi va via perde il posto all'osteria" o - peggio - "chi tardi arriva male alloggia" o anche di quelli che ti danno i numerini come dal salumiere del supermercato. Nemmeno in chiesa, a messa, si prenota il posto, "alla mensa del Signore". Chi arriva prima, si siede. E per il cibo vero e proprio - la comunione - ci si mette in coda e molto educatamente si aspetta il proprio turno. Al Galatoire’s c’è spesso la coda sul marciapiede e non accettano prenotazioni neanche se telefonano dalla Casa Bianca. Succedeva anche al Pied de Cochon di Parigi.



Comunque – digressione a parte  – di ristoranti con la coda fuori sul marciapiede non ce sono poi molti. Sarà la crisi, sarà la nostra scarsa propensione all’incolonnamento e all’attesa. Eppure càpita spesso in una strada non memorabile in una zona tutt’altro che glamour di Milano sudest. E’ una delle tante pizzerie-ristorante che hanno invaso le città italiane. Con accanto altre pizzerie-ristorante. Il nome è  tutt’altro che appealing: Baja Sardinja. Il locale, inteso come arredo, è senza voto. I quadri alle pareti, non parliamone. Sul guardaroba-bagno stendiamo un velo pietoso. C’è un certo trambusto che a noi piace perché consente di parlare liberamente senza essere ascoltati. (Non siamo da ristorante dove non vola una mosca e tutti bisbigliano - come a teatro - per non farsi sentire).


La pizza non è male ma neanche da urlo. E allora? La focaccia, servita quando riescono al posto del tristissimo pane (ma quanto è cattivo il pane nella maggior parte dei ristoranti ?) è come dev’essere, praticamente perfetta.  Ma soprattutto la spigola “pescata”  è straordinaria.  Nella taglia, che soddisfa giusto due persone, nella consistenza, nella estrema semplicità della cottura sotto sale. O la ricciòla scottata. Ma anche i primi sono una cosa seria. Coi ricci di mare o con lo scorfano. E anche l’antipasto di olive e cardi. Che semplice sorpresa. Chiuso il mercoledì perché una volta era giorno di partite. Prezzi veramente onesti. E bravi i tre fratelli del nuorese (Paolo, Luigi e Ignazio). Se vanno avanti di questo passo fanno la fine del Galatoire’s .


DOVE COME QUANDO

Baja Sardinja
Via Tagliamento, 11
Milano
Tel. +39 02 569 5314    


Galatoire’s Restaurant
209 Bourbon Street  
New Orleans, LA 70130
Stati Uniti
Tel. (504) 525-2021

domenica 29 aprile 2012

venerdì 27 aprile 2012

ERBA BRUSCA A MILANO



Niente minimal chic e tanto meno snob. Erba Brusca suona bene subito, trasmette voglia di verde e in questa stagione ottiene il suo fulgore. Cenare in libertà quando davanti agli occhi restano gli ultimi scampoli del tramonto e i fiori dell’orto vanno a dormire. Gli stessi che la chef Alice Delcourt, per metà francese e metà inglese, mette nelle sue creazioni in cucina: basiche, semplici, appetitose. Con i piedi nell’erba o quasi si gusta meglio lo sgombro affumicato con crema di rape rosse, yogurt greco, sedano e dragoncello. Un piatto che è diventato un vanto di questa cucina. Ripetitivo probabilmente, con le erbe dell’orto che cambiano sin che la natura produce, ma essenziale per come cattura il palato con i suoi aromi.
La chef qui non si esibisce e neppure prende rischi. Il pesce di lago ha tono e gusto se accompagnato con la salvia e il timo. I profumi dell’orto sono, con i suoi fiori, “poveri ma belli”, nella stagione primaverile. Anche buoni per come sono serviti a tavola. Basilico, rosmarino, melissa, maggiorana, menta piperita e le erbe un po’ meno note, ma ricche di gusto, pimpinella, achillea e l’erba brusca che a questo luogo dà il nome. 




Spontanea e ricca di vitamina C è raccolta lungo i corsi d’acqua e ancora dove finisce la città, all’Alzaia Naviglio Pavese, dove prende forma la cucina di Alice. Felice di essere qui dopo gli anni trascorsi, a “farsi le ossa”, a New York, in Lower East Side e al River Cafè a Londra, lungo Thames Path dove ha collaborato con cuoche del calibro di Rose Gray e Ruth Rogers con grande attenzione alla cucina mediterranea. L’orto-cucina a pochi passi da Milano è davvero poco francese. L’anima è molto più mistica e internazionale. Non tanto per il brunch domenicale, pancakes alla trota affumicata e carrot cake, sempre gradito in alternativa a stucchevoli pranzi al chiuso, quanto per la forza che il luogo stesso emana. Un po’ come è accaduto alla chef australiana Skye Gyngell finita a pochi chilometri da Londra, al Petersham Nurseries, cuore di un vivaio, dove piante e i fiori crescono in armonia prima di essere raccolte.



Il sorriso di Alice è disarmante come la bontà delle sue zuppe, dove finalmente si sente una ragione di gusto, il paté di coniglio servito con nespole grigliate, origano e cipolla dolce e tutte quelle carni bianche che vanno d’accordo con una cucina un po’ bio, ma soprattutto sana. A un anno di rodaggio il team funziona. La città ha bisogno di questi luoghi per consentire di riprendere fiato. E non ve lo toglieranno i protagonisti dotati sempre un buon stato di allegria. Il gruppo è quello del ristorante Ratanà al quartiere Isola. Il comico Antonio Albanese, il dermatologo Marco Fumagalli, Cesare Battisti, mano fortunata nel mantecare il riso e Danilo Ingannamorte, conoscitore del vino, forse un po’ troppo proiettato verso il naturale, ma è la tendenza del momento. Lei, Alice, unica donna tra tanti maschi, non perde la calma e anche per chi arriva in affanno riporta il giusto clima proponendo uno dei suoi piatti come il pollo alla griglia con salvia e limone oppure l’agnello al timo con lenticchie e chutney di albicocca e menta. Sarete rinfrancati. A dar man forte un ottimo spaghetto, vongole e tartufo nero, naturalmente con l’erba brusca.
Corriere della Sera-Style Magazine




DOVE COME QUANDO 


Erba Brusca
Alzaia Naviglio Pavese, 286 
Milano
Tel. +39 02 87380711 
Prezzo medio (vino escluso): 35 euro
Giorno di chiusura: lunedì e martedì

giovedì 26 aprile 2012

SORI' GINESTRA, L'ETA' DEL NEW BAROLO






Matteo Toso
sommelier campione d'Italia 2012
per la Guida Ristoranti l'Espresso







di  MATTEO TOSO

Appuntamento alla cantina Conterno Fantino, a Monforte d’Alba, di fronte a me dodici annate divise in tre batterie: la chiave per accedere al mondo del Sorì Ginestra.
PRIMA BATTERIA
1982 Riserva - Primo millesimo di Barolo per questa cantina. Nei confronti di questa annata storica per le Langhe, c'è qualcosa che va oltre il vino. Guido Fantino e Claudio Conterno lo assaggiano con una leggera smorfia sul viso dovuta a chissà quale ricordo legato alla partenza della loro avventura, che quest'anno compie 30 anni. Con loro Fabio Fantino, promessa della Maison. Il colore è compatto, aranciato, il naso etereo e polveroso apre le porte a una marasca sottospirito precisa, lasciando il finale a nuances di eucalipto. Il palato molto tipico è preciso, acidità stabile e tannino maturo con una leggera nota amara di mandorla sul finale.

1985 Riserva - Seconda e ultima riserva prodotta da questa cantina, venuta al mondo insieme alla secondogenita di casa Fantino, Elisa, che troverete sempre dietro alla scrivania con la mamma Alda, altro punto di riferimento dell’azienda. Un vino immenso. Il colore è sempre quello di un Nebbiolo maturo, ma più intenso del precedente, il naso caleidoscopico è un tripudio di frutta rossa matura in prima battuta, poi volge con classe alla liquirizia, cipria e finale di caffé. La bocca colpisce per l'ampiezza e la freschezza, entra grasso e così rimane a lungo. Un fuoriclasse.
1986 - Forse per l'annata grandinosa considerata più piccola, sicuramente per la bottiglia non perfetta, questo vino mi ha lasciato perplesso, ma con la promessa di analizzarlo di nuovo. Il colore è nettamente più evoluto dei suoi colleghi di batteria, mattonato, ma non ancora passato. Il naso ci porta in un bosco in autunno, funghi e humus, con profumi minerali di grafite e pietra focaia, finale di cacao. La bocca si discosta, risulta più giovane e fresca, la spalla è esile, elegante, il tannino è piccolo ma ci pensa un'acidità generosa.



1988 - Di nuovo una grande annata e una grande prestazione da parte di questo Barolo. Il colore è stupendo, il più bello tra i primi quattro, intenso e brillante, sembra non temere il tempo. I profumi decisi sono di prugna, viola e fiori secchi, ma soprattutto ancora molto freschi. In bocca ritroviamo un vino di grande vigoria, un giovane. Tannino e acidità, con grande dinamismo, imprimono un ritmo deciso alle papille, mentre un ricordo di caffé ci terrà compagnia ancora per qualche piacevole minuto.

SECONDA BATTERIA
1989 - Quando questa grande annata venne commercializzata i consumatori non l'accolsero con il giusto entusiasmo perchè precedeva una delle annate più importanti a livello mondiale, il 1990 per l'appunto. Io dico: meno male che sia andata così, magari se questo non fosse accaduto, adesso avremmo meno bottiglie di '89 a disposizione, e sarebbe stato un peccato visto come si sta comportando questa annata dopo 23 anni. Il colore compatto e pieno è circondato da un’unghia leggermente aranciata. Quando il bicchiere si avvicina al naso la prima sensazione è quella di un vino imponente e di grande freschezza, a confermarlo interessanti sentori di resina di pino, affondo fitto di confettura di ciliege e prugne, trama speziata non invadente con pepe in prevalenza. Al palato detta il suo ritmo da grande vino, la spalla potente e il tannino vivo ben fuso ci comunicano che la sua vita sarà ancora molto lunga, quanto la sua persistenza che non diventa mai troppo soffocante grazie a un’acidità tagliente e stimolante. 

1992 - Questo vino è stata una delle sorprese di questa degustazione, e l'entusiasmo che scaturisce ripensando a questa bottiglia è dettato dal fatto che ha superato di misura le contenute aspettative rivolte a una piccola annata come il '92. Il colore, vivo e cristallino, ci intruduce un vino di grande eleganza e piacevolezza. L'olfatto finissimo gioca le sue carte miglori sui profumi primari di frutta rossa, fragoline di bosco e lavanda, e in un attimo l'impressione a occhi chiusi e quella di trovarci in Francia dalle parti di Beaune, incredibile come l'evoluzione abbia condotto questo Nebbiolo a sfumature propriamente di Pinot Nero. All'assaggio il vino è vivace, ritroviamo grande eleganza subito, un tannino elegante ben pennellato e un’acidità fresca in seconda battuta.

1994 - Siamo di nuovo di fronte a una grande sorpresa. Questo vino infatti al primo assaggio non ha dato troppe emozioni, ma ci ha insegnato che la pazienza è una delle più grandi virtù. Al primo assaggio sembra un vino quasi spacciato, lo mettiamo da parte per un attimo e lo conserviamo come ultimo della batteria. Bene, quasi come se avesse potuto ascoltarci, cambia passo e incomincia a dimostrarci tutta un'altra stoffa, tutta un’altra espressione, tutto un altro vino. Questa crisalide presenta un colore in linea con l'età, i sentori olfattivi sono quelli di un Barolo maturo e complesso, la mora in confettura apre la strada ad aspetti più evoluti come tabacco e polvere. Le sensazioni al palato sono degne di nota, ingresso fresco e possente, sul finale della lingua troviamo una leggera nota amara di mallo di noce.
1995 - Ultimo vino della seconda batteria, che spicca dal coro per la sua grande espressione olfattiva. Il colore di buon tono porpora ci presenta un vino dinamico e spigliato, il naso è la vera sua rivelazione. Esplosione olfattiva balsamica di pino e fieno, poi fuochi d'artificio di fragole in confettura, marasca e viola, il tutto sempre contornato da leggera nuances vegetale. La bocca convince leggermente meno per un tannino ancora un pò "verde" che lo rende meno armonico e fluido, soprattutto sul finale, non troppo lungo.

TERZA BATTERIA
1996 - Il '96 è una di quelle annate di Langa per cui provo sempre grandi emozioni. Per molti questa annata ha mantenuto una struttura tale e un tannino che non riusciranno mai ad addomesticarsi, dando vita così a un Barolo ruvido e spigoloso. A mio avviso col '96 ammiriamo una delle espressioni più rappresentative e complete, ovviamente dove la spalla possente fa da padrona, mantenendo però una freschezza da primato e una polpa quasi masticabile. Il colore è intenso con una leggera unghia tendente al color tramonto, a memoria dei vignerons una delle annate più pigmentate. Il naso trasversale si articola tra cenni più freschi di frutta come ciliegia e mora e cenni più ruffiani di viola e grafite, come un grande equilibrista tra polpa e fragranza. Il palato da culturista sfodera tannini decisi e precisi, rendendo la polpa freschissima e di infinita lunghezza.

1999 - Proseguendo la strada verso i giorni nostri l'impressione, soprattutto per questa batteria, è che i vini incominciano ad avvininarsi al registro della modernità, con equilibri e consistenze più complete, forse per la conoscenza che cresce sulle tecniche di vinificazione, forse per il cambiamento climatico. Il rosso brillante e vivace è abbracciato da un’ombra arancio, quasi per renderlo più profondo e interessante. Al naso troviamo note erbacee e fiori secchi con sfumature di caffé. La grande bocca decisa sfila con una classe innata, calda e armoniosa ci riempe le pareti della bocca con un tannino dolce che lascia un finale equilibratissimo e di grande piacevolezza. Dopo tanti anni finalmente il '99 ha raggiunto il suo equilibrio migliore.
2001 -  Cosa dire, il 2001 lo sappiamo è una delle annate più importanti in Piemonte nella decade 2000-2009 e il vino infatti non tradisce le tante aspettative anche se però in questa fase sembra stia attraversando una specie di limbo tra giovinezza e inizio della sua maturazione. Sicuramente ritroverà una sua natura più definita tra qualche tempo, ma nel frattempo assaggiamo. Il colore è intenso e cristallino, mentre il  naso di grande tempra si scinde in due: dapprima profumi primari di frutti rossi, poi incalzano viola e menta balsamica. Il palato è di grande attacco, sfodera tutta la possenza e la grandezza di questo Barolo in un gioco di eleganza-potenza di grande equilibrio.



2002 - Ultimo vino degustato, annata terribilmente sfortunata dove grandine e piogge abbondanti hanno pregiudicato una buona maturazione delle uve. Nel 2002 l'azienda ha deciso di vinificare i due cru di Barolo insieme, cercando di fare una selezione il più accurata e puntigliosa possibile, portandoci nel bicchiere un Barolo più esile, all'opposto dell'annata precedente. L'olfatto un pò ingessato è fresco, molto fine, troviamo sentori erbacei di fieno e floreali di viola che si rincorrono, ma che non lasciano spazio a troppe altre sensazioni. La bocca ha una buona acidità che accompagna la grande eleganza di questo vino, il tannino flebile asciuga leggermente il palato. Nonostante le condizioni climatiche avverse di questa annata, il prodotto è buono e molto interessante. Da riassaggiare tra qualche anno.

martedì 24 aprile 2012

CASTELVECCHIO, CHIANTI DI FIRENZE



Ho tenuto per anni in cantina una bottiglia di Vigna La Quercia Riserva, annata 2004, che mi ha regalato Dario Cecchini. "Mi disse: quando hai tempo senti questo Chianti Colli fiorentini...". Quella bottiglia è ancora in attesa di essere bevuta. Però ho aperto la Riserva 2007 che mi ha mandato Stefania Rocchi che con il fratello Filippo guida il podere Castelvecchio, anticamente appartenuto alla famiglia Cavalcanti, piccolo borgo dove non si fa soltanto vino in una natura splendita, nella campagna fiorentina. La sorpresa arriva dal bell'equilibrio che raggiunge il vino nella composizione di Sangiovese, circa novanta per cento e di Cabernet Sauvignon, circa dieci per cento. Non sempre si ottiene una freschezza e una presenza ricca di frutta rossa come in questo caso. Bel segnale di quanto è possibile fare addolcendo le asperità del Sangiovese e sfruttando la versatilità del Cabernet Sauvignon in terreni di origine pliocenica, ciottoloso. Un bell'exploit dell'agronomo-enologo Luca D'Attoma, consulente dell'azienda e dello staff di cantina. Struttura non invadente, tannini composti e morbidi, note di spezie, cacao, mineralità equilibrata, Vigna La Quercia, convince, lo ripeto, per la freschezza. Eccellente con una semplice frittatina di erbe di stagione.  




DOVE COME QUANDO

Castelvecchio
località San Pancrazio
Via Certaldese, 30
San Casciano Val di Pesa (FI)
Tel. +39 055 824 8032
www.castelvecchio.it

Produzione: 130.000 bottiglie
Ettari di vigna: 32

Vigna La Quercia Riserva 2007
Vitigni: Sangiovese (90%)
Cabernet Sauvignon (10%)
Bottiglie: 13.000
Prezzo in enoteca: 14 euro





giovedì 19 aprile 2012

THINGS WE LOVE




La zuppa di primavera dello chef Enrico Gerli. I protagonisti invernali, cappone e cardo, sono sono sostituiti dalla crema di asparagi di Cilavegna e riso con uovo cotto a bassa temperatura per arrivare a una consistenza fondente. Il parmigiano invernale diventa cremoso e croccante a forma di cialda. Le punte di asparago sono impanate.


DOVE COME QUANDO


I castagni
Via Ottobiano, 8/20
Vigevano (PV)
Tel. +39 0381 42 860
www.ristoranteicastagni.com
Chiuso: domenica sera e lunedì
Menu degustazione: 55 euro






mercoledì 18 aprile 2012

BON CHOVIE, ACCIUGHE A BROOKLYN


Semplicità disarmante, bontà infinita. New York impazzisce per le acciughe fritte con crema di formaggio e pomodoro. Renae Holland di Bon Chovie sfrittella a Brooklyn all'ora di colazione. Con olio, erbe, patate, pane tostato. Cibo di strada, ricco di Omega-3, fa spendere agli americani 4-7 euro. Lo chef Seamus Mullen del Tertulia restaurant a West Village si è superato servendole con pomodoro tostato, crema di formaggio, prezzemolo. Il piatto è chiamato "tosta matrimonio".





DOVE COME QUANDO

The Chovie family
Fort Greene, Brooklyn
New York
www.bonchovie.com

Bon Chovie
27 N 6th St
(Wythe Ave e Kent Ave)
Brooklyn (N.Y.)
Tel. (727) 776 9600
Porzioni da 4-7 dollari


lunedì 16 aprile 2012

MAGLEN 2009, IL PINOT NERO



L'Alto Adige va considerato per la bella offensiva sui rossi. Non soltanto bianchi, non soltanto Gewurztraminer. Il Pinot Nero Maglen della cantina di Termeno è un vino elegante e fine. Nella versione 2009 forse uno dei migliori Pinot Nero presentati in enoteca. Qualità eccellente dovuta a una stagione meteorologica invidiabile che ha dato grappoli maturi e integri alla raccolta. La cantina, vanta circa trecento soci, è governata da Willi Sturz, ancora una volta conferma quanto di buono sta producendo. Chapeau! La qualità è considerevole come il rapporto prezzo. Il Maglen 2009 le cui uve sono allevate nella zona Glen e Mazzon, altitudine di circa 450 metri, su terreni ricchi di argilla e sabbia, si propone con lievi note di speziatura, marasca e viola. Tannini composti e fini. Eleganza. Ottimo con filetto di Fassone.



DOVE COME QUANDO

Cantina Termeno
Strada del vino , 144
Termeno (BZ)
Tel. 0471 860126
www.cantinatramin.it
Produzione: 1.500.000 bottiglie
Ettari di vigna: 230
Soci: 280

Maglen 2009
Vitigno: Pinot Nero
Bottiglie prodotte: 11.000
Prezzo in enoteca: da euro 18


sabato 14 aprile 2012

SE HAPPY HOUR INCONTRA ARCHI-FOOD



di ALBERT

Archi-Food? Archi-Risto? RistoGatti?  A giudicare dagli sforzi di patron e soci per rendere sempre più trendy, minimal e “disained” i luoghi di ristorazione (dalla pizzeria allo stellato) si direbbe che, banalmente, “l’occhio vuole – sempre di più - la sua parte”.  Si potrebbe quindi già concludere qui sposando acriticamente il fondato luogo comune che accredita come migliori, più onesti, buoni, genuini, i ristoranti brutti. Più brutti sono i quadri alle pareti (ma quanto sono brutti i quadri dei ristoranti italiani?) meglio si mangia. Non è sempre vero ma spesso era ed è ancora così.


Una volta (25-30 anni fa) c’era chi misurava la “bontà” di un locale come inversamente proporzionale all’altezza del macinapepe-minareto fallico. Non saremo certo noi, antipatizzanti un po’per partito preso del km zero, a farci facilmente conquistare dalle tovaglie a quadretti, tovaglioli a ventaglio e dai fiaschi finto-impagliati di vino della casa. Ma poi ci sono quelli (e sono davvero tanti) che hanno orecchiato la marchesitudine con 35 anni di ritardo: pensavano forse che la nouvelle cuisine fosse la Francia intesa come nuova “cugina” dell’Italia senza molte implicazioni gastronomiche.  Dai piatti scodella “saturno” (ma sì, si capisce a cosa alludiamo) con qualche colore intorno e pietanze tutte rigorosamente arabescate sulla “corona”, con pseudografie giapponesi financo sulla bresaola, o erba tagliuzzata con la forbice sulla cotoletta alla milanese. Una spolveratina di prezzemolo sul bordo del piatto è d’obbligo (forse per nascondere le impronte digitali dei cuochi).  Composizioni spesso stucchevoli ma qualche volta anche carine se non fossero rimasticature grafiche di molti anni fa. Oppure il minimal-giap. Le tovaglie – tovagliolo tipo breakfast all’americana (ma non era giap?) che scorrono da una parte all’altra del tavolo e qualche volta (se si è in quattro) si incrociano lasciando liberi gli angoli.  Anche in ristoranti molto buoni. Anche in ristoranti buonissimi.


Ultimamente – e abbiamo ben presente soprattutto Milano – non c’è ristorante che non comunichi oltre che con il sito internet e con il “sito” inteso come indirizzo stradale (diffidate di chi usa a sproposito la parola “lochésciòn”) –  anche con gli arredi e il resto.
Bicchieri. Palloni gonfiati “a balloon” di proporzione esagerata per qualsiasi tipo di vino. Il naso deve starci sempre, ma gli occhi è meglio che stiano fuori. Ma abbasso sempre la flùte piccola e stretta come un pitale che però è per fortuna in via di estinzione. Ormai per l’acqua il vetro è colorato quasi sempre. Tipo vasetto per i fiori. E se c’è un moschino non si vede.
Imperversa il finger food che ha già stufato come i vasi enormi fuori dei locali (ristoranti e alberghi) che se la tirano di più. E gli “assaggini” che fanno molto happy hour.


Conclusione: ognuno cerchi – anche Albert – di fare al meglio quello che sa con il gusto che gli è proprio. Se allarghiamo gli orizzonti (molto oltre il km zero) non possiamo che trarne tutti gran giovamento.  Anche se abbiamo già visto molte volte che quello che sembra orripilante oggi, poi viene digerito – è il caso di dire – come un alka-seltzer. O anche no. Dipende. Dipende dallo stomaco.


CHE CUCCAGNA, TORNA NIK CAVALLARO



Nicola Cavallaro torna in cucina e lo fa a Cascina Cuccagna con un ristorante che promette food semplice in una situazione bucolica ai margini della città. Aria nuova, aria da Farmer chef dopo l'apertura di Antonello Colonna nella campagna di Labico, tocca a Nik.


DOVE COME QUANDO


Un posto a Milano
Cascina Cuccagna
Via Cuccagna, 2
Milano
Tel. +39 02 545 77 85
Giorno di chiusura: lunedì
www.unpostoamilano.it
www.nicolacavallaro.it

venerdì 13 aprile 2012

ANTONELLO COLONNA FARMER CHEF





Dalla paiata di bue o vitello, alla coda alla vaccinara, dal cannolo di baccalà e caviale, alla triglia, pappa al pomodoro, cocco e tamarindo...la strada culinaria di Antonello Colonna è quasi lunga quanto una vita. Bizzarro e creativo lo chef originario di Labico, campagna romana, trattoria di famiglia, passando attraverso Casa Italia, mondo politico, Open Colonna, sul tetto del Palazzo delle Esposizioni nella Capitale, si ritrova adesso nella situazione sognata dalle origini. "Sono partito dall'artigianato e ne ho fatto una impresa", ha detto all'inaugurazione del Vallefredda Resort, costruzione minimalista disegnata da Paolo Desideri. Il cerchio forse si chiude a Labico, nella sua campagna comunque dove non si perde il contatto con la natura. Cibo, passeggiate, museo di auto e  reperti che stanno a cuore a questo farmer-chef, in un nuovo abito, probabilmente quello definitivo. Severo con se stesso, ma anche con gli altri. Desideroso un giorno di ospitare a cena il genio Keith Jarrett. "Tra lui e un ottimo pianista c'è la differenza che c'è tra uno chef e un bruciapadelle". Cenare da Antonello resta un punto di riferimento.






DOVE COME QUANDO


Antonello Colonna Vallefredda Resort
Vallefredda, 52
Labico (Roma)
Tel. +39 06 951 0032
www.antonellocolonna.it





life wine travel chef gardening relais & chateaux spices exploring style boules bathing captured images carpets botteghe barbers trattorie light suppliers lawns craftsmen epicure dogs champagne castles bare feet hotel de charme